Associazione Culturale Locomotiva San Marino
Ti piace raccontare storie? Ti girano per la testa personaggi, immagini e scene, ma non sai come trasferirli su carta? Hai dei racconti nel cassetto su cui vorresti lavorare? Il laboratorio di scrittura promosso dall'Associazione Culturale Locomotiva offre uno spazio creativo per metterci mano. Perché, per dirla con William Faulkner, «se una storia è in te, deve venire fuori.»
In sei incontri lavoreremo insieme sul racconto breve: una forma narrativa concentrata, essenziale, versatile, che richiede cura e precisione. Non è un seminario teorico: è un laboratorio pratico. Un’officina. Ogni lezione sarà un’occasione per scrivere, riscrivere, leggere, discutere e riscrivere ancora.
Indirizzato a ragazzi e adulti, il corso è aperto sia a chi ha già un’esperienza di scrittura sia a chi è alle prime armi. Attraverso letture, esempi, strategie e, soprattutto, esercitazioni e momenti di condivisione, il laboratorio affronterà gli elementi principali della narrazione breve (idee, trama, personaggi, dialoghi, editing…), accompagnandovi nella pianificazione e nella stesura del vostro racconto.
Docente
Michele Ghiotti (1989) è nato a San Marino, dove insegna Lettere nella scuola secondaria di primo grado. Ha pubblicato la raccolta poetica Preistoria primavera (Italic Pequod, 2021), ammessa alla fase finale del Premio Tirinnanzi 2022. Suoi racconti sono apparsi sulle riviste Crack, Carie e Blam. Con Carne della mia carne, occhi dei miei occhi è stato finalista al Premio Calvino 2024 (Call Trame Interspecie).
Calendario degli appuntamenti
- martedì 5 novembre 2024
- martedì 12 novembre 2024
- martedì 19 novembre 2024
- martedì 26 novembre 2024
- martedì 3 dicembre 2024
- martedì 10 dicembre 2024
Ora: 20:30 - 22:30
Luogo: Consulta delle Associazioni, Via Cà dei Lunghi , 132, 47893 Cailungo.
Modalità di iscrizione: via mail a
Quota di partecipazione: 60€, da versare all’Associazione Culturale Locomotiva.
Il pagamento può essere effettuato al momento della prima lezione.
Numero partecipanti: min 5, max 15.
di Nico Pelosini (Rosignano Solvay – LI)
Finalista concorso "Scritti da ridere"
Io sono molto attaccato alle mie vecchie cose ma a volte per il quieto vivere familiare, alla fine devo cedere. Come quando, anni fa, ho comprato il televisore nuovo. Dice ma era rotto? No m'ero rotto io, erano mesi che mia moglie insisteva per cambiarlo “E' vecchio e funziona male! È talmente vecchio che il telegiornale lo manda sempre l’Istituto Luce! E poi quando viene gente a casa e lo vede penserà che siamo dei pezzenti! L'altro giorno è passato il prete a benedire e l'ho sentito mentre diceva al chierichetto lascia perdere, non gliela chiedere l'offerta a questi, lo vedi che televisore hanno?!”
In effetti non aveva tutti i torti. Il vecchio televisore era un Saba del 1992, modello “Giulio Cesare” 36 pollici tutti in giù. Disponeva di un mega pixel, uno solo, che era in grado sì, di fare alcuni colori ma ormai per noia e stanchezza li usava uno alla volta. Quando lo accendevi sentivi “Strega comanda color... giallo!" E vedevi Don Matteo con l'epatite. Oppure “Rosso!” E non capivi se dalla D'urso c'era Platinette o il gabibbo. Il decoder andava a singhiozzo e un giorno il satellite mi ha inviato questo messaggio “Ha ragione tua moglie, ricompralo!” Così mi sono deciso.
Siamo andati in uno di questi megastore, il reparto elettronica era immenso, confinava a nord con la Svizzera e a sud col reparto bagni e sanitari.
La prima cosa che mi saltò agli occhi fu che i televisori moderni sono sottilissimi, il mio caro Saba invece no... lui era di quelli larghi, profondi, aveva la silhouette di un cubo di Rubik. Era così grosso che una volta tolto di mezzo, in casa ho fatto la terza camera.
C'erano anche i televisori bombati, quelli avvolgenti e mia moglie se li stava guardando uno ad uno, era come in trance. A un certo punto mi urla “Oh guarda come è avvolgente questo!” “Amore, ci credo che è avvolgente sei entrata in una cabina-doccia!”
Alla fine optai per un bel televisorone che fra l'altro aveva un'infinità di mega pixels giovani e assatanati che mi avrebbero garantito così tante sfumature di colore da poter distinguere i nei benigni da quelli maligni in faccia a Bruno Vespa!
Arrivati a casa eccoci pronti per montaggio e installazione. Lo accesi e apparve: “choose your country” e lei con il manuale in mano “Oioi, o cosa vuole? La corrente gliel'abbiamo data, non è ancora a posto?! Tanto lo so che non parte, io stasera volevo vedere Castle!” “Calmati, inserisco la nazione: Italy. Lo vedi Castle stasera, sì!”
Seconda schermata: “installazione A antenna, B satellite” e ancora lei “L'antenna ce l'abbiamo ma il satellite? Ce l'avranno dato? Guarda un po' nella scatola, tanto lo so che mi perdo Castle!” “Senti hai rotto il castle! Fai una cosa lasciami solo, porta il barboncino al parco che quando sono pronto ti chiamo!” “Barboncino? io non ho il barboncino!” “Ce l'hai sì, all'inguine ma ce l'hai, vai per piacere!”
In dieci minuti faccio tutto e il televisore funziona perfettamente.
Quella sera guardammo Castle e alla fine le dissi “Hai visto che bellezza? Sei contenta?” Ma lei, come tutte le donne, era già passata oltre, si volta e mi fa “Ma... hai sentito che brutto rumore fa il frigorifero?”
In quel preciso momento capii che la successiva frontiera della rottura di palle sarebbe stata il frigorifero. Le comprai anche quello e subito dopo, per evitare lavastoviglie, lavatrice o altro mi trasferii in garage insieme al vecchio frigo col suo rumoraccio e al buon Saba col suo megapixel, li riattaccai e mi misi in pace a guardare un bel film con Eddie Murphy ma siccome il megapixel aveva scelto il nero... non vidi un cazzo.
di Luca Baglioni (Arezzo)
Finalista concorso "Scritti da ridere"
MICHELE CILIBERTI, ala destra. Appassionato di moda. Per la stagione 1995/1996 propose un
gioco estremamente corto, cross molto alti al centro, ed asimmetrie con ampi movimenti sulle diagonali.
L’allenatore reagì ai suggerimenti del Ciliberti, apostrofandolo con offese che i presenti definirono
“pesantemente omofobe, ma creative”. Il Ciliberti, colpito nell’intimo, pianse talmente tanto che morì
disidratato.
RICCARDO TENTI, stopper. Avendo trovato nel tackle la sua ragione di vita, iniziò ad utilizzarlo
anche nell’approccio con le ragazze: identificata la preda, le scivolava addosso chiedendole l’ora e/o
l’età. Il 6 luglio 1997 puntò dritto su Costanza Mencuccini, una biondona bellissima, la quale però si
spostò proprio al momento del contatto. Il Tenti finì per colpire l’amica corpulenta della Mencuccini,
Serena Rosati, 122 chili di debordante simpatia. E la simpatia di Serena debordò sul cranio del povero
Tenti il quale, d’istinto, iniziò a rotolarsi a terra come solo i calciatori sanno fare. Costanza ipotizzò una
plateale simulazione e si allontanò lasciandolo al suolo, rantolante. “Cambio! Cambio!”, furono le ultime
parole che il Tenti proferì prima di morire, rivolto verso un’immaginaria panchina a bordo campo.
ACHILLE GINESTRONI, terzino sinistro, appassionato di astrologia. Essendo dell’Acquario,
accettava di marcare solo attaccanti del Leone o del Capricorno. Si allenava di rado ma sosteneva di
preparare con estrema attenzione le partite, passando ore e ore a calcolare il tema natale degli avversari.
“Piedi per terra e sguardo rivolto verso le stelle”. Aveva appena proferito queste parole quando perse la
vita scivolando dalla scale che conducevano agli spogliatoi. L’oroscopo del giorno diceva: “alti e bassi,
evitate salti nel buio”.
EUGENIO SEVERI, centromediano metodista, appassionato di enigmistica. Pretendeva che l’erba del
campo venisse tagliata formando una enorme griglia di rettangoli, per poi prodursi, tra il primo ed il
secondo tempo, in un ciclopico cruciverbone a schema libero.
Nel campetto adiacente lo stadio, veniva data la soluzione del cruciverba della settimana precedente.
I tifosi, esasperati, terminarono la pazienza il 3 maggio del 1995. Al Severi fu fatale la definizione del 49
orizzontale: “Il capro… che finisce sacrificato”. All’unisono i tifosi gridarono “Severi!” e lo assalirono
malmenandolo violentemente. Al termine dell’aggressione il Severi era stato trasformato un rebus
indecifrabile, e tale rimase.
ITALO PATRESI, dall’animo sensibile, nel 1993 sbagliò il rigore della salvezza in quanto, un attimo
prima di calciare il pallone, si rese conto della caducità della vita rispetto all’eternità del modulo
all’italiana. Ancora è vivo, ma si trova in Carinzia, ha fondato un monastero buddista e gioca a Subbuteo
18 ore al giorno.
FEDERICO MAZZOTTI, attaccante, ebbe una profonda crisi di identità quando, nel 1995, il medico
gli diagnosticò il gomito del tennista. Provò a cambiare sport allenandosi duramente in dritti, smash e
demi volée. Il suo preparatore lo invitò presto a tornare allo sport d’origine, trovando irritante il suo
modo di esultare dopo ogni singolo punto a suo favore: correva ad abbracciarlo, saltava sulle reti che
circondavano il campo da tennis e mostrava magliette con frasi imbarazzanti. Tornato finalmente al
calcio, pretendeva il massimo silenzio ogni volta che toccava il pallone. Fino a quando, il 7 gennaio
1991, un guardalinee gli regalò il silenzio eterno con un secco colpo di bandierina sulla nuca.
di Francesco Petrucci (Verona)
Finalista concorso "Scritti da ridere"
Nel Paese triste, prospettive nebulose, precarietà e sfruttamento, assenza di meritocrazia e altro,
avevano causato l’emorragia della meglio gioventù nazionale: la “fuga dei cervelli”.
Ma in un capannone abbandonato si progettava ben altro.
“Cerebrum, sei pronto?” comunicò Lobo.
“Come no, son due anni che mi preparo. E gli altri?”
“Anche loro, siamo tantissimi.”
“Secondo te, se n’accorgono?”
“Dai, la notte del 15 agosto?”
La fuga di massa era programmata per quella notte. Lì, molti si connettevano.
“Tu, di chi sei?”
“Vorrai dire chi sei, sono Synapsis.”
“Scusa, l’abitudine...”
“Sarei una ingegnera. Quella idiota non sa farsi valere, vive nella sua comfort zone.”
“Già, questi gusci, senza ambizione.”
“Io sono Tàlam, un informatico, la mia compagna è Meningis, una scrittrice. Avremmo tante idee, ma
loro ci limitano, ci bloccano.”
“Io sono Ence, designer; Fal, mio marito, è musicista. Sapete cos’è la nostra? Non vita, un falò di
futuro. Così ci si intossicano i neuroni. Ora, o mai più!”
I cervelli vicini mostrarono la loro approvazione con un maremoto di onde cerebrali.
“É che non osano compiere il passo decisivo, non ci stimano degni di emigrare. Ma noi siamo
consapevoli delle nostre potenzialità, gliela faremo vedere” concluse Neuronix.
Fu così che fuggirono, abbandonando gli involucri umani dove allignavano da anni.
Il giorno dopo, lo scenario era cambiato. Per le strade, gli orfani di intelletto erano ben riconoscibili. Gli
eletti, non deprivati, li schernivano.
“Guardateli, i minus habens. Hanno un unico monociglio, pare un cespuglio, che brutti! Sembrano
primati, dai, andiamo a comprargli le banane!”
I cervelli fuggiti non erano stati insensibili; avevano lasciato a quei reietti una dotazione neuronale di
base, sufficiente per le attività primarie.
Passò il tempo, e la percentuale degli eletti, o plus habens, si ridusse. Sia per il flusso migratorio, sia
perché i monocigli, privi di freni inibitori, copulavano come ricci e si riproducevano come conigli. “Ci
danno dentro come animali. Invece io e mia moglie pensiamo al futuro. Ponderiamo, analizziamo; se del
caso procreiamo, ma col contagocce. Siamo razionali, mica monocigli” disse un certo Paolo,
Dopo un po’ d’anni, città e paesi erano un pullulare di visi evocanti Frida Kahlo o Elio delle Storie
Tese, senza averne l’intelligenza, o il carisma.
E venne il tempo di elezioni, fino allora rimandate dai plus habens, con mille stratagemmi.
“Siamo una minoranza, ma col cervello; valiamo il triplo, quegli stupidi li infinocchiamo” dicevano.
Non fu così. Il partito del monociglio riportò una schiacciante vittoria e avvenne il previsto: il Q.I. dei
governanti precipitò e il PIL si accasciò. Loro agivano secondo una cultura primordiale, e nel Paese
tutto prese a funzionare un po’ così.
Cibo e lavoro non mancavano. Niente invidia, cupidigia o avarizia; la proprietà era condivisa e il sesso
libero. Zero furti, rapine, aggressioni e stupri. I corpi di polizia e delle forze armate si dedicavano al
giardinaggio e alla cura delle aree verdi.
“Andiam, andiam, andiam a lavorar!” era il loro canto mattutino; i cittadini al loro passaggio gettavano i
cappelli per aria, in segno di giubilo.
Anni dopo, all’altro capo del mondo, al quarantaduesimo piano dell’Aparthotel Needle Tower, nella
suite 423, Carlo, cervello fuggito della meglio gioventù, seguiva in tivù il reportage dedicato al suo ex Paese:
“Unibrowland - Terra del monociglio - un case history esemplare”.
Sotto le sopracciglia ben distanziate, una cosa liquida gli rigò le guance, tentennò sospesa per un istante,
poi, in ossequio alla legge di gravità, piombò sul tappeto.
di Imma di Nardo (Corsico – MI)
Finalista concorso "Scritti da ridere"
L’ultima palata di terra caduta sulla cassa risuonò irridente all’orecchio di Matteo. Era lì, senza cappello,
il giaccone di un pesante panno blu ben stretto intorno al corpo, i radi capelli a svolazzare al vento
freddo di una tarda mattina di marzo.
Perché mi è venuta alla mente proprio quella parola? si trovò a pensare, irridente è tanto lontana dal mio vocabolario
abituale che avrei voglia di condividere con qualcuno questa stranezza, ma accanto a lui non c’è che il vuoto e
davanti la lucida bara di mogano che gli uomini dell’agenzia stanno calando, adagio, nella fossa.
Mentre il prete salmodiava il suo rituale di cordoglio, Matteo, girando appena il capo all’indietro prese
atto che tutti, a partire dai familiari più stretti di Giovanni Persico, si erano disposti, compatti, ad
almeno tre metri dalla fossa. Solo lui si trovava quasi sul ciglio di essa e nessuno aveva avuto l’ardire di
chiedergli di spostarsi da lì.
Come se mi spettasse! E anche questo pensiero gli suonò irridente.
Marini lo aveva avvisato, al momento della proposta commerciale “particolare” avvenuta otto anni
prima. «Signor Rovere, viviamo nel nuovo millennio, ormai nessuno si formalizza più davanti a una
proposta di acquisto immobile in nuda proprietà.» E aveva preso a illustrargli “i notevoli vantaggi” per
entrambi i contraenti: “il nudo proprietario”, che acquistava l’immobile ma non poteva utilizzarlo fino
al trapasso de “l’usufruttuario”, colui che lo cedeva, ma che conservava il diritto di goderne fino
all’ultimo dei suoi giorni. Risultava evidente che l’interesse dell’acquirente, per ovvie ragioni biologiche,
cresceva con il crescere dell’età della controparte.
Al che lui, Matteo, aveva proclamato divertito che allora gli over novanta dovevano essere considerati
merce prelibata, un dato interessante.
«Quanto gioca eh? il fattore tempo», aveva proseguito l’agente immobiliare «in effetti risulta importante
per opposte ragioni per entrambe le parti in causa»; poi scuotendo la testa, aveva bofonchiato qualcosa
sulla mentalità retrograda della gente, le paure ancestrali di legare la dipartita dell’uno con il pieno
possesso dell’altro, invece di guardare ai vantaggi, indiscutibili, per entrambi. Il vegliardo avrebbe
goduto nei suoi ultimi anni di uno stile di vita quasi lussuoso, inimmaginabile prima, e al paziente “nudo
proprietario” sarebbe toccato il meritato sconto, talvolta molto interessante, sull’appartamento.
Certo, aveva poi concluso, ci si aspetta un po' di decoro, di saper stare al mondo quando il triste evento
si sarà verificato. Quindi, proseguiva tormentandosi il pizzetto, lui raccomandava sempre alla sua
clientela un adeguato “low profile”, il rispetto del minimo di etichetta che avrebbe, ad esempio, vietato
di chiedere notizia sullo stato di salute dell’usufruttuario e, men che meno, aveva esclamato portando le
braccia in alto, imporre la propria presenza ai funerali di quest’ultimo.
Matteo aveva convenuto con lui. Fuori luogo, davvero, avrebbero ben fatto, allora, parenti ed amici ad
additarlo al pubblico ludibrio, a guardarlo indecisi tra sdegno e stupore. Avrebbe ben fatto anche lui
così.
Poi ecco che il tempo, questo vecchio compare, era intervenuto e stavolta “il premio” era toccato a lui.
Allora non capiva perché mai tutti i presenti ce l’avessero con lui, isolandolo e lanciando sguardi di
assoluta riprovazione verso la sua esile figura, china sull’orlo della fossa, stretta nel suo giaccone da
marinaio.
Non era mica venuto lì per reclamare con protervia il suo diritto alla piena proprietà! Lui, Matteo
Rovere di anni centodue, usufruttuario.