di Francesco Petrucci (Verona)
Finalista concorso "Scritti da ridere"
Nel Paese triste, prospettive nebulose, precarietà e sfruttamento, assenza di meritocrazia e altro,
avevano causato l’emorragia della meglio gioventù nazionale: la “fuga dei cervelli”.
Ma in un capannone abbandonato si progettava ben altro.
“Cerebrum, sei pronto?” comunicò Lobo.
“Come no, son due anni che mi preparo. E gli altri?”
“Anche loro, siamo tantissimi.”
“Secondo te, se n’accorgono?”
“Dai, la notte del 15 agosto?”
La fuga di massa era programmata per quella notte. Lì, molti si connettevano.
“Tu, di chi sei?”
“Vorrai dire chi sei, sono Synapsis.”
“Scusa, l’abitudine...”
“Sarei una ingegnera. Quella idiota non sa farsi valere, vive nella sua comfort zone.”
“Già, questi gusci, senza ambizione.”
“Io sono Tàlam, un informatico, la mia compagna è Meningis, una scrittrice. Avremmo tante idee, ma
loro ci limitano, ci bloccano.”
“Io sono Ence, designer; Fal, mio marito, è musicista. Sapete cos’è la nostra? Non vita, un falò di
futuro. Così ci si intossicano i neuroni. Ora, o mai più!”
I cervelli vicini mostrarono la loro approvazione con un maremoto di onde cerebrali.
“É che non osano compiere il passo decisivo, non ci stimano degni di emigrare. Ma noi siamo
consapevoli delle nostre potenzialità, gliela faremo vedere” concluse Neuronix.
Fu così che fuggirono, abbandonando gli involucri umani dove allignavano da anni.
Il giorno dopo, lo scenario era cambiato. Per le strade, gli orfani di intelletto erano ben riconoscibili. Gli
eletti, non deprivati, li schernivano.
“Guardateli, i minus habens. Hanno un unico monociglio, pare un cespuglio, che brutti! Sembrano
primati, dai, andiamo a comprargli le banane!”
I cervelli fuggiti non erano stati insensibili; avevano lasciato a quei reietti una dotazione neuronale di
base, sufficiente per le attività primarie.
Passò il tempo, e la percentuale degli eletti, o plus habens, si ridusse. Sia per il flusso migratorio, sia
perché i monocigli, privi di freni inibitori, copulavano come ricci e si riproducevano come conigli. “Ci
danno dentro come animali. Invece io e mia moglie pensiamo al futuro. Ponderiamo, analizziamo; se del
caso procreiamo, ma col contagocce. Siamo razionali, mica monocigli” disse un certo Paolo,
Dopo un po’ d’anni, città e paesi erano un pullulare di visi evocanti Frida Kahlo o Elio delle Storie
Tese, senza averne l’intelligenza, o il carisma.
E venne il tempo di elezioni, fino allora rimandate dai plus habens, con mille stratagemmi.
“Siamo una minoranza, ma col cervello; valiamo il triplo, quegli stupidi li infinocchiamo” dicevano.
Non fu così. Il partito del monociglio riportò una schiacciante vittoria e avvenne il previsto: il Q.I. dei
governanti precipitò e il PIL si accasciò. Loro agivano secondo una cultura primordiale, e nel Paese
tutto prese a funzionare un po’ così.
Cibo e lavoro non mancavano. Niente invidia, cupidigia o avarizia; la proprietà era condivisa e il sesso
libero. Zero furti, rapine, aggressioni e stupri. I corpi di polizia e delle forze armate si dedicavano al
giardinaggio e alla cura delle aree verdi.
“Andiam, andiam, andiam a lavorar!” era il loro canto mattutino; i cittadini al loro passaggio gettavano i
cappelli per aria, in segno di giubilo.
Anni dopo, all’altro capo del mondo, al quarantaduesimo piano dell’Aparthotel Needle Tower, nella
suite 423, Carlo, cervello fuggito della meglio gioventù, seguiva in tivù il reportage dedicato al suo ex Paese:
“Unibrowland - Terra del monociglio - un case history esemplare”.
Sotto le sopracciglia ben distanziate, una cosa liquida gli rigò le guance, tentennò sospesa per un istante,
poi, in ossequio alla legge di gravità, piombò sul tappeto.